Diario Civile, prima puntata dedicata a vent’anni dall’assassinio di Don Diana
Un nuovo programma di Rai Educational sui temi della giustizia, dei diritti, della legalità. Un appuntamento settimanale con la partecipazione del Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, in onda da stasera 12 marzo su Rai Storia (canale 54 digitale terrestre – canale 805 piattaforma satellitare Sky Italia – canale 23 piattaforma satellitare TivùSat – canale 226 piattaforma Naxoo [Svizzera] – Rai Storia livestreaming), ogni mercoledì alle 21.15. La prima puntata è dedicata, a vent’anni dall’assassinio di Don Diana, al parroco di Casal di Principe ucciso dalla camorra casalese il 19 marzo 1994.
A vent’anni dall’assassinio di Don Diana, Rai Storia dedica la prima puntata di Diario Civile, in onda mercoledì 12 marzo, al parroco di Casal di Principe ucciso dalla camorra casalese il 19 marzo 1994. Il documentario ricostruisce la vicenda umana di un parroco divenuto il simbolo della lotta alle mafie attraverso le testimonianze dei familiari, di chi lo ha conosciuto, dei parroci impegnati come lui per la legalità e dei magistrati, che insieme al Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ne ripercorrono anche la complicata vicenda giudiziaria. In esclusiva per Rai Storia Roberto Saviano racconta il percorso anticamorra di questo grande sacerdote, il contesto in cui ha operato, i depistaggi e le falsità che infangarono la figura di Don Diana, il cui esempio è sempre stato al centro dei racconti dello scrittore napoletano. “Quando mi capita di scrivere in Gomorra di Don Peppe sono dieci anni che su di lui c’è il silenzio – dice Saviano – Un silenzio custodito e rotto, allo stesso tempo, soltanto da pochi. Ma sostanzialmente Don Peppe è dimenticato. Lui è un prete sui generis per quel territorio – racconta ancora Saviano – Non indossa spesso la tonaca, ma soltanto il collarino. Ogni tanto si concede un sigaro. E inizia una vera e propria strategia pastorale, davvero unica”. Che si compie in un contesto di “piena guerra civile”, dice ancora lo scrittore, “un carosello armato con morti e morti da una parte e dall’altra. E Don Peppe inizia a dire questo: non posso dare i Sacramenti a chi fa Camorra, a chi è camorrista. No alla comunione, non faccio più cresime quando intuisco che la cresima non è un sacramento ma diventa una modalità militare per legare un giovane ad un affiliato. Don Peppe dice basta. E non solo. Don Peppe utilizza la domenica, l’altare, l’omelia, la messa per iniziare a dire quello che sta accadendo in paese”. La lettera aperta che Don Diana scriverà nel ’91 insieme ad altri parroci della zona contro la camorra è, per Saviano “il messaggio rivoluzionario teologico e politico di Don Peppe, che dice: Io sono un prete. Non posso tacere”.
“La camorra – continua a raccontare Saviano – tentò di delegittimarlo dicendo che era stato ucciso per non aver celebrato un funerale; la camorra voleva far passare questo suo impegno pastorale antimafia come una mancanza”. La storia di Don Diana, come quella di Don Puglisi a Palermo, è la chiave per raccontare la camorra casalese, l’evoluzione e la sconfitta culminata nel processo Spartacus nel 2004. Ma anche per scoprire tante storie meno note. Nel documentario, le testimonianze della madre Iolanda e dei fratelli Emilio e Marisa Diana, le parole di chi lo ha conosciuto, come l’ex sindaco Renato Natale e il giornalista Raffaele Sardo, quelle dei suoi amici sacerdoti come Don Tonino Palmese e Don Carlo Aversana e della giornalista Concita Sannino.
Gli anni della formazione, il suo passato scout, e l’impegno anticamorra, culminato in quel manifesto pubblico dal titolo “Per amore del mio popolo non tacerò”. “Don Diana, così come Don Puglisi – sottolinea il Procuratore Nazionale antimafia Franco Roberti – erano nati, vivevano e lavoravano in territori ad alta densità criminale e lo facevano alla luce del sole, occupandosi del recupero dei ragazzi che i clan criminali reclutano nei quartieri a rischio offrendo loro una possibilità di lavoro, di istruzione, di impegno sociale. E proprio per il loro lavoro di “preti di strada” sono entrati nel mirino delle cosche criminali. Nella logica tipicamente mafiosa – aggiunge Roberti – uccidere un uomo come Don Diana ha un doppio obiettivo: eliminare un uomo simbolo, portatore di valori positivi, e far ricadere la colpa sulla fazione avversa, quindi determinare un intervento giudiziario contro questa fazione. L’azione dello Stato ha dato i suoi frutti grazie all’abnegazione di tanti magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, ma forse anche grazie a qualche cosa che sta cambiando nella realtà casertana, che sta mutando in meglio”.
La vicenda giudiziaria legata a Don Diana è un caso molto complicato che il documentario ricostruisce con gli interventi, insieme a quello di Franco Roberti, del Procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, dei giudici Raffaele Cantone e Francesco Curcio, i magistrati che si sono occupati a più riprese dei Casalesi e che, come Francesco Curcio, hanno seguito i due processi di primo grado per il delitto di Don Peppino. L’eredità del sacerdote è anche nel lavoro di Libera, che nelle terre confiscate ai clan nel casertano opera tutt’oggi con le cooperative agricole per promuovono i prodotti tipici del luogo nel nome di Don Diana. “Un prete – commenta Don Ciotti – che rifiutava quelle facili etichette che dovremmo rifiutare sempre tutti noi sacerdoti, quelle di preti-coraggio, preti-antidroga, preti-anticamorra, antimafia. Lui si definiva semplicemente un prete. Perché preti tutti dovremmo essere contro le forme di violenza, di arroganza, d’illegalità quando viene calpestata la libertà e la dignità delle persone. La camorra – dice ancora Don Ciotti – ha assassinato il nostro Paese, noi lo si deve far risorgere. Bisogna risalire sui tetti e riannunciare la parola di vita. Lo ha detto allora alla sua gente, e io credo che il miglior modo per fare memoria del nostro don Peppe è risalire sui tetti, oggi, più che mai, tutti. Perché dai tetti si guarda lontano, si guarda oltre”.
La voce narrante di Non Tacerò. La storia di Don Peppe Diana è quella dell’attore Andrea Renzi che ha lavorato con alcuni dei più importanti registi napoletani del cinema e del teatro, come Mario Martone e Paolo Sorrentino.